Il Testimonial: Andrea Zanzotto

 

Nato a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, il 10 Ottobre 1921, Andrea Zanzotto è sempre rimasto intensamente attaccato alla sua terra, allontanandosene di rado: le frequentazioni universitarie, il servizio militare e la successiva partecipazione alla guerra di resistenza, una parentesi di lavoro in Austria ed i pochi viaggi per rispondere agli obblighi del suo lavoro di letterato.

 

Ad una apparentemente scarna biografia, fa riscontro, invece,  un'ampia produzione poetica che, assieme ad un mai interrotto lavoro di saggistica ed a qualche prova di narrativa, copre un arco di tempo che va dall’immediato dopoguerra fino ai giorni nostri.

 

POETICA

 

La poesia degli anni Cinquanta

 

Il linguaggio come dimensione totale

Negli anni cinquanta uscirono le prime raccolte di Zanzotto e subito, da "Dietro il paesaggio" (1951) a "Elegia e altri versi" (1954) a "Vocativo" (1957), risultò chiara la tendenza del poeta a considerare il linguaggio una dimensione totale, l'unica in grado di garantire all'individuo e al mondo una vera consistenza e una reale esistenza.

 

La forma indipendente dal contenuto

In "Dietro il Paesaggio" e in "Elegia" il poeta sembra voler verificare le risorse del codice linguistico apportato dalla recente letteratura europea. Le due raccolte, sostanziate da notevoli contributi surrealisti ed ermetici si collocano sul piano di una specie di letterarietà assoluta, dove la forma sembra tendere ad una decisa indipendenza dai contenuti, in grado di far risaltare la verità separata dal linguaggio.

 

I turbamenti della struttura sintattica

Ma il rapporto di questa verità con la verità del soggetto, che è poi l'intero punto dolente dell'intera opera di Zanzotto, inizia già in "Vocativo" a sfaldarsi mettendo in risalto i turbamenti della struttura sintattica, le vertiginose astrazioniconcettuali e la complessità sempre maggiore nell'espressione che spesso si risolve con un rifiuto, a volte drastico, della logica del discorso.

 

Il mondo rappresentato dal paesaggio

In queste raccolte il mondo è rappresentato dal paesaggio di Pieve di Soligo dove è nato Zanzotto che dichiarerà in un intervento del 1981:"Nei miei primi libri io avevo addirittura cancellato la presenza umana, per una forma di "fastidio" causato dagli eventi storici; volevo solo parlare di paesaggi, ritornare a una natura in cui l'uomo non avesse operato. Era un riflesso psicologico alle devastazioni della guerra". In esse l'io si identifica con i suoi primari paesaggi, Soligo, i boschi di Lorna, "il freddo Montello" come meccanismo proiettivo della psiche sul luogo:"tutto il mondo è l'orto mio/dove raccolgo a sera/dolci bacche accecate e caute acque" e frequentemente determina, soprattutto in "Vocativo", una "ritirata" del soggetto ("non - uomo mi depongo") che sommerso nel silenzio ("Nel silenzio ricado") e assimilato al paesaggio ("Chiuso io giaccio/nel regno della rovere e del faggio") mantiene comunque la volontà di comunicare ("per voi le labbra/mie dall'assenza/debolmente si muovono?").

 

La poesia degli anni Sessanta

 

La poesia indipendente dalla langue

Nello stesso anno in cui Zanzotto prendeva le distanze dalla poetica e dalla pratica espressiva dei Novissimi, allora ai vertici della Neoavanguardia, esce la raccolta "IX Ecloghe" (1962) che per gran parte della critica rappresenta una funzione "traghettante" nella sua poesia.

In essa si delinea con sufficiente chiarezza la maniera maggiore del poeta, quella in cui la poesia viene eletta come luogo di scavo nella materia linguistica per poterne isolare gli elementi di "autenticità" antropologica e psicoanalitica indipendente dall'alienazione sociale che si manifesta con lalangue.

 

La funzione primaria del significante

Nelle Ecloghe la tradizione letteraria diventa oggetto di una tensione metalinguistica alla quale si associano i più disparati materiali verbali privi della minima gerarchia tra i vari registri linguistici, dove l'equivalenza semantica fa emergere la funzione primaria del significante.

 

Il congedo dalla purezza verbale

In Ecloghe il vocabolario della scrittura del poeta si apre maggiormente e, al monolinguismo delle raccolte precedenti, si instaura un repertorio lessicale che accoglie termini diversi, dal tecnologico a quello scientifico, dal gergo a quello quotidiano.

Contemporaneamente a questa apertura verbale Zanzotto adotta uno schema iperletterario come quello del genere virgiliano (idillico-pastorale) dell'ecloga e alla parola della realtà affianca quella della tradizione poetica, ricca di arcaismi, dantismi, citazioni greche e latine, come a volersi congedare, in modo ironico, da qualsiasi mito di purezza verbale.

 

Lo sdoppiamento del soggetto

Il soggetto poetante si sdoppia e la persona -io si divide in più persone denominate a.b.c. e seppure non crollano completamente gli scorci idillici di Lorna e Dolle ("Soffia oro settembre nelle lente/giornate..."), il lirismo esasperato si dimostra più volte ("...Corpi e occhi in scrigni e culle, corpi/candidi, cellule/di attive nevi,/mobili corpi tenerezza/alla mano, terrore/all'anima, fucate/fosforescenze su tormenti e faglie...") e le cose segnano l'inizio di una invincibile frustrazione.

 

Il recupero del significato

In Ecloghe la possibilità del sopravvivere del Soggetto si affida ad un territorio verbale dove sia possibile recuperare, anche se in misura minima, un significato in grado di esprimere la vera natura dell'io grazie ad un percorso a ritroso verso il primordiale dei significanti.

 

Il linguaggio nella sua totalità

Se il paesaggio e neppure la convenzione letteraria garantiscono un riparo dalla storia, Zanzotto assume, per uscire da questa crisi, il linguaggio nella sua totalità e - come dice l'Agosti - "come luogo dell'autentico e dell'inautentico". Così, nella raccolta "La Beltà", il poeta si immerge totalmente in quel "plasma" della "densissima lingua", operazione necessaria perché il Soggetto poetico possa riappropriarsi del sé.

Ne nasce un dirompente lavoro sul linguaggio con allitterazioni, doppi sensi, giochi etimologici, neologismi accentuando l'attività del significante e delle sue imprevedibili associazioni foniche.

 

L'origine del senso

"La Beltà", che può considerarsi la raccolta centrale nella carriera letteraria di Zanzotto, rappresenta il punto più profondo del suo percorso poetico nella quale il poeta trova il senso assoluto del significante.

La scoperta che viene fatta in Beltà è quella dell'origine del senso, un luogo che si pone prima dell'individuo e della storia.

Esso viene prefigurato nel linguaggio con il quale gli adulti vezzeggiano i bambini e che imita l'articolazione quasi puramente fonetica della prima verbalità infantile, cioè quello che nella lingua veneta si chiama petèl.

 

La labilità dell'io e del processo storico

In Beltà Zanzotto utilizza accostamenti fonici e pseudo-etimologici paradossali, usa sillabazioni che non hanno connessioni e forme grammaticali inaudite, come quella dell'articolo, dell'interiezione o di prefissi e suffissi.

Si tratta però di manifestazioni labili, come labile e balbettante è il principio dell'io quanto il processo storico.

 

La poesia degli anni Settanta

 

Il ritorno al significato

Quella labilità sembra approfondita in alcune composizioni di "Pasque" (1973) , ma per la maggior parte della raccolta si osserva un inatteso ritorno ad un registro discorsivo in cui viene evidenziato il significato enfatizzato dal contestopedagogico che occupa la prima sezione.

 

Creatività linguistica a qualsiasi livello

Da ciò si fa evidente ancora una volta come sia un errore voler forzare la produzione di Zanzotto in scansioni o fasi o superamenti, perché il poeta , dopo quanto ha scoperto in Beltà, ci suggerisce con la sua poesia che si può esercitare la creatività linguistica allo stesso tempo in qualsiasi direzione e a qualsiasi livello anche lontani e differenti tra di loro.

In questo quadro si inserisce la parentesi dialettale di "Filò" e la trilogia costituita da "Il Galateo in Bosco", "Fosfeni" e "Idioma", in cui l'elemento comune è l'identificarsi del senso originario che può inglobare indifferentemente i vari modi del discorso basandosi sulla casualità offerta dagli incontri tra i significanti.

 

Le pendici del Montello

"Il Galateo in Bosco" che è forse, insieme a Beltà, il vertice della poesia zanzottiana, è un'opera di grande compattezza nella quale si fondono e convergono elementi differenti. Il luogo centrale del libro sono le pendici del Montello che rappresentano allo stesso tempo il luogo naturale, come paesaggio primario dell'autore, il luogo storico, perché segnato dagli ossari dei caduti della prima guerra mondiale, e il luogo letterario, perché il Galateo fu scritto da Giovanni della Casa e un'ode rustica, elogio del Montello, fu scritta nel 1863da Nicolò Zotti.

 

Lo spazio

Lo spazio descritto sedimenta i segni della storia individuale dell'autore, le ossa dei soldati, i segni del ciclo naturale del bosco, gli scritti di poeti e letterati e , oggi, i rifiuti dei villeggianti della domenica.Per descrivere i "vuoti di memoria" collettivi e personali e per illustrare in che modo le colline trevigiane sono state insanguinate e distrutte dalla storia, Zanzotto mette a confronto le regole del vivere civile (il Galateo) e la primitiva vitalità della natura (il bosco).

 

La lingua

La lingua utilizzata è qui meno aggressiva che in passato anche se punteggiata da continui riferimenti filosofici, da effetti grafici e da vari iconismi. Si assiste nel libro ad un precipitare dell'io verso il basso e l'indifferenziato.

 

La poesia degli anni Ottanta

 

Il rapporto d'unità con la parola

In "Fosfeni" la scrittura, che abbandona la prospettiva bassa e boschiva per tendere al sublime, si libera dal peso della letterarietà e fa prevalere l'elemento metafisico e filosofeggiante in un impensato e liricamente stupito rapporto d'unità con la parola:"L'albata e variata nudezza dell'essere/mimerò presto, e il tocco infimo, la vibratile nota,/negato io nel gelo/ contaminazione e chiarore ciliato appena al di qua".

 

La possibilità di una lingua più comunicativa

Nel leggere i versi di Fosfeni, la contemplazione della luce e delle altitudini sembrava preludere ad un passaggio verso astrazioni assolute, ma invece nel terzo atto della trilogia, in "Idioma", la direzione cambia.

Zanzotto propone la possibilità di una lingua più comunicativa riavvicinandosi così al terreno comune dell'esperienza umana.

Al centro del libro la sezione in dialetto dedicata alle persone scomparse e ai mestieri perduti indica come la ricerca di un contatto tra la parola privata e la lingua extrasoggettiva, sia sostenuta da una tensione al colloquio che si rivolge soprattutto ai morti.

In Idioma il tema centrale è quello della morte e la lingua utilizzata sembra davvero la lingua dei morti, priva di qualsiasi venatura metalinguistica e sperimentale che sembra permettere un recupero del significato e del discorso.

 

La poesia degli anni Novanta

 

Il paesaggio invasivo

Con "Meteo" Zanzotto sembra ritornare all'antica descrizione del paesaggio sempre più contaminato che, a differenza del passato, è un "paesaggio invasivo" con le sue piante ( papaveri, topinambúr, taràssico e le "disfatte vitalbe") e i suoi colori che sembrano appartenere ad una natura che lascia il soggetto al di fuori dei suoi confini e gli permette solamente l'ascolto del suo "ticchettio".

 

L'io passivo

L'io, che è sempre stato il complemento del paesaggio, si trova, a causa della devastazione dell'ambiente e delle coscienze, ridotto ad un elemento passivo, attonito e spaesato anche di fronte all'"alta mutezza" dei prati e delle colline. "Non si sa quanto verde/sia sepolto sotto questo verde/né quanta pioggia sotto questa pioggia".

 

L'incontro di soggetto, natura e storia

In "Meteo" Zanzotto registra il ritmo dei mutamenti delle stagioni con i suoi turbamenti e le sue deformazioni e osserva come l'instabilità del clima sia legato ai sistemi di comunicazione umana e al succedersi continuo delle previsioni. A tutto questo egli aggiunge l'osservazione della dimensione soggettiva, quella che chiamiamo meteoropatia, quel sentire dentro di sé gli effetti del clima, facendo così incontrare il soggetto, la natura e la storia.

 

La parola nel suo disgregarsi

In "Meteo" Zanzotto segue anche il trasformarsi della natura per effetto dell'inquinamento che non è solamente materiale ma è anche e soprattutto mentale e linguistico. Il libro presenta in apertura una quartina intitolata Live, riprodotta come da scrittura a penna che mostra la parola nel suo fisico disgregarsi.

Eppure il poeta, di fronte alla natura che sembra essere giunta al suo ultimo stadio, sembra voler trovare ancora annunci di dolcezza e offrirsi di colori e di luci, per poi rassegnarsi al vanificarsi di ogni equilibrio e splendore e lasciarsi schiacciare da piante parassitarie che si impadroniscono del paesaggio e segnano la sua degradazione.

 

Canto della deriva e della fine

"Meteo" appare come un accorato canto rivolto ai vegetali ormai alla deriva che il poeta sembra anc ora invocare per poterli riscattare come ultimi segni di una natura infetta, ma ancora pulsante.

 

La poesia del 2000

 

Certo è presto per apportare una critica alle ultime opere di Zanzotto, ma è certo che nella sua ultima raccolta di poesie dal titolo "Sovrimpressioni" il poeta, nella distruzione del paesaggio e nella trasformazione dell'ambiente, vede sì i segni del degrado della propria terra ma vive ancora momenti di apertura affettuosi e ricchi di speranza.

In questo modo la poesia di Zanzotto, da quel grado zero che sembrava fase finale con Idioma, si è ancora sviluppata e può ancora svilupparsi all'interno di una nuova collocazione su ulteriori territori all'interno dei quali si può riprendere il cammino.

 

OPERE

 

  • Dietro il paesaggio, Mondadori (Lo Specchio), Milano 1951

  • Elegia e altri versi, con una nota di Giuliano Gramigna, Edizioni della meridiana (Quaderni di poesia, 4), Milano 1954

  • Vocativo, Mondadori (Lo Specchio), Milano 1957

  • IX Egloghe, Mondadori (Il Tornasole), Milano 1962

  • Sull'Altopiano, Pozza, Vicenza, 1964; poi in Racconti e prose, introduzione di Cesare Segre, Mondadori (Oscar Oro), Milano 1990 - poi Sull'Altopiano e prose varie, introduzione di Cesare Segre, Neri Pozza, Vicenza 1995

  • La Beltà, Mondadori, (Lo Specchio), Milano 1968

  • Gli sguardi i fatti e Senhal, Tipografia Bernardi, Pieve di Soligo 1969 - poi con piccole varianti, in Gli sguardi i fatti e Senhal, con litografie di Tono Zancanaro, Il tridente 1969 - in Gli Sguardi I fatti e Senhal, con un intervento di Stefano Agosti e osservazioni dell'autore, Mondadori (Lo Specchio), Milano 1990

  • A che valse? (Versi 1938-1986), strenna per gli amici, Scheiwiller, Milano 1970

  • Pasque, Mondadori (Lo Specchio), Mondadori, Milano 1973

  • Poesie (1938-1972), a cura di Stefano Agosti, Mondadori ("Gli Oscar Poesia"), Milano 1973

  • Filò. Per il Casanova di Fellini, con una lettera e cinque disegni di Federico Fellini, trascrizione in italiano di Tiziano Rizzo, Edizioni del Ruzante, Venezia 1976 - poi con varianti parte di Filò e altre poesie, Lato Side (Lato Side 86), Roma 1981 (alle pp. 6 e 40 sono riprodotti il secondo e il quinto disegno di Federico Fellini dell'edizione Ruzante) - in Filò. Per il Casanova di Fellini, con una lettera e cinque disegni (in realtà quattro) di Federico Fellini, trascrizione in italiano di Tiziano Rizzo, Mondadori (Lo Specchio), Milano 1988

  • Il galateo in bosco, prefazione di Gianfranco Contini, Mondadori (Lo Specchio), Milano 1978

  • La storia dello zio Tonto, illustrazioni di Maria Concetta Mercanti, Lisciani & Giunti ("C'era non c'era"), Teramo 1980

  • Filò e altre poesie, Lato Side (Lato Side 86), Roma 1981, con allegati il secondo e il quinto disegno di Federico Fellini dell'edizione Ruzante, la sezione Mistieròi e la Nota ortografica, con varianti in Mistieròi. Poemetto dialettale veneto, con 10 riproduzioni di acqueforti di Augusto Murer, Castaldi, Feltre 1979 - poi con varianti in: Andrea Zanzotto - Amedeo Giacomini, Mistieròi-Mistirùs. Poemetto in dialetto veneto tradotto in friulano, con una postfazione di David Maria Turoldo e tre riproduzioni di acqueforti di Giuseppe Zigani, Scheiwiller, Milano 1984 (allegata lettura dei due autori, su nastro magnetico)

  • Fosfeni, Mondadori (Lo Specchio), Milano 1983

  • Mistieròi-Mistirùs (traduzione in Friulano di Amedeo Giacomini), Milano 1985

  • Idioma, Mondadori (Lo Specchio), Milano 1986

  • Racconti e prosa, introduzione di Cesare Segre, Mondadori, Milano 1990

  • Fantasia di avvicinamento, Mondadori, Milano 1991

  • Poesie (1938-1986), a cura di Stefano Agosti, Mondadori ("Oscar Poesia"), Milano 1993

  • Aure e disincanti del Novecento Letterario, Mondadori, Milano 1994

  • Sull'Altopiano e prose varie, introduzione di Cesare Segre, Neri Pozza, Vicenza 1995

  • Il Galateo in Bosco, prefazione di Gianfranco Contini, Mondadori ("I Classici dello Specchio"), Milano 1996 (nei risvolti di copertina passi antologici di Giovanni Giudici e Giovanni Raboni)

  • Meteo, con venti disegni di Giosetta Fioroni, Donzelli ("Poesia/1"), Roma 1996

  • Sovrimpressioni, (Collana Lo Specchio, I poeti del nostro tempo) Mondadori, Milano 2001

  • La storia del Barba Zhucon e La storia dello zio Tonto, immagini di Marco Nereo Rotelli, (Collana bambini), Corraini, Mantova 2004

  • Colloqui con Nino, a cura di Andrea Zanzotto, fotografie di Vincenzo Coltrinelli, (Collana "Il Ponte del sale"), Bernardi 2005

  • "Eterna riabilitazione da un trauma di cui s'ignora la natura", a cura di Laura Barile e Ginevra Bompiani (agosto e novembre 2006) con tre poesie inedite dell'autore. Edizioni nottetempo (2007)

(tratto da Wikipedia, Italia)